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In base alla nostra disponibilità di tempo da dedicare alle bagnature dobbiamo compiere alcune scelte strategiche per l’allestimento del balcone: prima di tutto la scelta dei contenitori e poi le specie.
Le dimensioni dei contenitori
La scelta del contenitore riveste un’importanza fondamentale, non tanto per il tipo di materiale (vanno bene tutti) ma per le dimensioni. Vasi grandi, cioè larghi e profondi, permettono di alloggiare una quantità di terriccio maggiore e di trattenere, nel momento della bagnatura, più acqua. Questo si traduce nella possibilità di coltivare un maggior numero di piante, soggetti più grandi, avere apparati radicali ampi e forti perché liberi di crescere senza limiti di spazio. Scegliere grandi vasche, lunghezza 60 cm, larghezza 30, altezza 40, da porre a terra sul balcone, al posto delle fioriere di ringhiera, permette di diradare le bagnature, intervenendo ogni tre giorni. Dove questo non è possibile cercate di scegliere comunque fiorire da appendere il più grandi possibile. Potete valutare quelle a forma di ferro di cavallo che si pongono come una “U” rovesciata sulle ringhiere; hanno un doppio spazio e una maggiore profondità. Interessanti sono quelle con la riserva d’acqua, cioè una sorta di sottovaso incorporato dove, senza essere a contatto con il terriccio che può riassorbirlo, ma sempre a disposizione delle radici che possono immergervisi e assorbire direttamente.
Il terriccio sempre nuovo
Anche la scelta del terriccio dei vasi influenzerà l’efficacia delle nostre bagnature. Non cedete alla tentazione di reimpiegare quello rimasto lo scorso anno, non perché la fertilità sia esaurita ma piuttosto perché la componente organica, quella che più trattiene l’acqua, si è alterata e ha perso buona parte della sua funzionalità. Acquistate terriccio fresco, ricco di sostanza organica, soffice e spugnoso. Aggiungete sabbia per facilitare drenaggio ma anche torba che ha una grande capacità di trattenere acqua cedendola poi lentamente alle radici. Evitate in ogni caso terra di coltivo o argillosa che rende difficoltoso sia il drenaggio sia l’assorbimento. Ricordate sempre che il terriccio per le ripetute bagnature si compatta e si dilava: aggiungetene altro quando osservate il livello abbassarsi tanto da lasciare scoperto il colletto delle piante e con le dita rompete la crosta superficiale per favorire un assorbimento più uniforme dell’acqua nel substrato.
ACQUA
A che ora annaffiare
Per ridurre lo shock termico, bagnate la sera dopo il tramonto quando i vasi sono in ombra da un po’ e il terriccio si è raffreddato oppure il mattino presto. Evitate di bagnare nelle ore più calde, ma se proprio non potete farne a meno bagnate solo al piede della pianta senza interessare la vegetazione perché le ustioni sulla vegetazione per l’effetto lente esercitato dalle gocce d’acqua rimasta, nelle nostre estati roventi, è diventata una realtà.
Mai fredda
L’acqua piovana è la migliore ma per molti non è facile raccoglierla. L’acqua dell’acquedotto prima di essere distribuita deve essere lasciata riposare alcuni minuti per permettere al cloro introdotto nella rete idrica di evaporare. Per quanto non aggressivo, il cloro esercita un’azione blanda di distruzione della sostanza organica che però si ripete ogni volta si bagnino le piante. L’acqua non deve essere troppo fredda e così si può pensare di prepararla la sera per distribuirla il mattino, o viceversa. Chi ha molti vasi e deve riempire diversi annaffiatoi potrebbe arrivare a impiegare acqua con temperatura di venti gradi centigradi inferiore a quella del terriccio, causando evidenti problemi all’apparato radicale che, anche se non compromesso, vede ridotta la sua funzionalità. In caso di acqua molto dura, interessa l’intera pianura Padana, una leggera acidulazione per provocare la precipitazione del sali di calcio e del calcare sul fondo dell’annaffiatoio può rivelarsi utile anche per le piante non spiccatamente acidogene come le ortensie coltivate in vaso: basta mettere un cucchiaio di aceto in ogni litro d’acqua.
Frazionare le innaffiature
I fabbisogni di acqua sono determinati da un gran numero di variabili: temperatura, esposizione, ricambio e circolazione d’aria, tipo e volume del contenitore, terriccio impiegato, caratteristiche delle piante coltivate, sensibilità dell’operatore. Il segreto è bagnare a sufficienza e mai in eccesso perché l’acqua che attraversa il terriccio, si ferma nei sottovasi e magari trabocca oltre è sempre troppa e ha il difetto di dilavare nel suo veloce passaggio i nutrienti. La tecnica giusta è quella di frazionare gli apporti. Operativamente se si deve innaffiare una serie di vasi si inizia dando una quantità pari a quella che l’esperienza ci ha insegnato essere circa un terzo del fabbisogno a tutti i vasi. Terminata la fila si riprende dal primo e si distribuisce il secondo terzo. In questo modo l’acqua ha modo di penetrare lentamente e in modo uniforme. Nel terzo passaggio distribuirò acqua in modo diverso da vaso a vaso a seconda che ci sia già un ristagno nel sottovaso. Dovrei dare acqua a sufficienza per bagnare tutto il terriccio contenuto nel vaso, dalla superficie ai fori di sgrondo, limitando al massimo quella che si accumula come eccesso e che verrà riassorbita dalla pianta in tempi brevi, se necessaria, o resterà stagnante e causa di pericolo di marciumi. Per far sì che l’acqua bagni l’intero volume e non solo il punto preferenziale dove è distribuita è consigliato versarla velocemente così da allagare lo spazio compreso fra bordo del vaso e terriccio, trasformando il contenitore nell’equivalente di una conca per agrumi.
Sottovaso si, sottovaso no
Il sottovaso è sempre necessario per non spandere acqua e per non causare danni, anche solo sporco e macchie. Può causare ristagno ma nei contenitori di grande volume può rivelarsi necessario perché consente di riassorbire una quota d’acqua sfuggita al terriccio così da migliorarne e uniformarne l’idratazione. È assolutamente sconsigliato nelle piante succulente dove è bene che l’acqua in eccesso si disperda. Nei balconi molto assolati si può ricorrere allo stratagemma di rialzare il vaso dal sottovaso con l’introduzione di uno spessore così che l’acqua in eccesso non sia più riassorbita ma evaporando, durante il giorno, mitighi l’azione del sole creando una sorta di bolla d’umidità intorno alla vegetazione.
Piante resistenti al ristagno e piante sensibili
Le piante resistenti a un ristagno anche prolungato nel sottovaso sono per lo più piante dai forti consumi idrici che amano substrati umidi o che possono resistere al sole solo se irrigate con continuità e grande abbondanza. Come hosta e ortensie che resistono al sole del mattino, anche d’estate, fino alle ore dieci-undici, solo se “affogate” con regolarità. Anche le impatiens se poste al sole non temono l’acqua nel sottovaso. Più sensibili i gerani anche se possono sopravvivere senza problemi al ristagno purché sia di breve durata e non ripetuto a breve distanza temporale. Più sensibili tagete, surfinie, bidens e dipladenia. Molto sensibili oleandro, tutti gli agrumi e le tutte le succulente
DOPO TRE GIORNI DI ASSENZA: CHE Cosa fare?
Se non si bagnano le piante per due o tre giorni per dimenticanza o per impegni improvvisi, il balcone e i davanzali si ritrovano in uno stato miserando, con le piante tutte afflosciate, tanto da far pensare che niente potrà risollevarle. I vegetali hanno una capacità di ripresa inaspettata tanto che potrebbe bastare una semplice bagnatura a farle riprendere: utilizzando un po’ di tecnica miglioreremo il risultato. Ombreggiamo subito le piante e bagniamole con acqua non fredda, meglio se con pochi sali (quindi niente fertilizzanti), fino a quando l’acqua inizia a uscire dal fondo, recuperiamo l’acqua dal sottovaso e riversiamola sul terriccio così da inumidirlo bene senza però eccedere. Ripetiamo più volte e vedremo che la capacità di trattenere acqua aumenta progressivamente perché le fibre organiche si rigonfiano e mostrano una maggiore igrofilia di quando sono completamente disidratate. Non abbiamo fretta e lasciamo alle piante il tempo di assorbire acqua, reidratare i tessuti così da ripristinare quel turgore cellulare che nelle piante erbacee è il primo e più importante elemento di sostegno. Contemporaneamente vaporizziamo le piante per diminuire la temperatura sulle lamine fogliare così da favorire una nuova apertura degli stomi e di tutta la catena fotosintetica. Se dopo una notte o una giornata intera non ci sono segni di miglioramento le speranze che la pianta possa riprendersi sono davvero poche, se la ripresa è parziale sorreggiamola con tutori e legature temporanee mantenendola al riparo dei raggi solari diretti ma in posizione luminosa, bagnata con regolarità.
Il doppio vaso
La tecnica del doppio vaso era un tempo utilizzata quando ci si allontanava da casa per un tempo abbastanza lungo e non si aveva chi poteva prendersi cura delle piante, ma va benissimo anche in balcone. Serve un primo contenitore, in materiale plastico e senza fori di fondo, si riempie di torba leggermente pressata e all’interno si colloca il vaso di coccio vero e proprio. Prima di assentarsi si inzuppa la torba che sarà una sorta di intercapedine fra i due vasi in modo che per “osmosi”, asciugandosi progressivamente il terriccio all’interno del vaso, sarà richiamata umidità attraverso la parete porosa di coccio.
Come aumentare l’autonomia
Dovete assentarvi per un po’ e non avete un impianto di irrigazione a servizio del balcone? Ecco cosa potete fare senza ricorrere a gel o dispensatori tipo bottiglia con tappo in materiale poroso:
- smuovete il terriccio in superficie così da interrompere la risalita capillare,
- immergete il vaso in un secchio d’acqua fino a quando non ha finito di emettere bolle, tenetelo fuori dall’acqua inclinato in modo che possa scolare l’acqua in eccesso, appena smette di filare ricollocatelo sopra il sottovaso,
- aggiungete se c’è spazio uno strato di corteccia.
Vasi grandi avranno così un’autonomia di quasi una settimana.