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L’abitudine di nutrirsi di erbe spontanee è sempre stata praticata nel passato, per bisogni reali legati alla presenza di carestie, ma anche per usanze. Oggi, a fronte di fonti alimentari sempre più impoverite dalle coltivazioni intensive, assume un nuovo valore. Ma occorrono molte precauzioni.
Foraging, in italiano alimurgia
Ogni anno, con il rinnovarsi della primavera, i campi incolti e i boschi si popolano di nuovi germogli, piante spontanee e fioriture variopinte, che sembrano voler attirare l’attenzione per invitare alla raccolta. Il foraging è l’arte di inoltrarsi in natura per raccogliere le erbe selvatiche che non sono soltanto belle da vedere, ma spesso sono anche buone da mangiare. C’è chi le utilizza per realizzare decorazioni per la casa e chi le raccoglie per scopi salutistici, erboristeria o per portarle in tavola. Anche se in tempi recenti si usa indicare la raccolta delle erbe spontanee con questo termine, il foraging, è una pratica antica quanto il mondo, in italiano detta “alimurgia”. Questo termine è stato coniato dal medico e naturalista fiorentino Targioni-Tozzetti (1712-1783) ed è apparso per la prima volta nel suo manuale “De alimenti urgentia”, in cui raccoglieva e catalogava le specie selvatiche da mangiare in periodi di carestia. La pianta selvatica nasce spontaneamente nel luogo in cui si sono verificate le condizioni ottimali per la sua crescita, dunque è forte e molto ricca di micronutrienti. Per questo motivo, negli ultimi anni la sempre maggiore attenzione nei confronti della sana alimentazione ha riacceso l’interesse verso l’alimurgia quale mezzo per trarre maggior beneficio possibile dalle piante spontanee mangerecce, e da tempo, anche molti chef, anche stellati, le utilizzano abitualmente nelle loro preparazioni raffinate.
Riconoscere le erbe spontanee commestibili
La natura offre una grande varietà di erbe da raccogliere in ogni stagione, ma si raccomanda di farlo solo se si è estremamente sicuri che sia quella giusta come specie, e sia cresciuta in campi incolti lontani dall’inquinamento cittadino o da coltivazioni trattate con pesticidi. Per raccogliere le erbe spontanee è necessaria molta attenzione: riconoscere con certezza quelle commestibili non è semplice, anzi, è facile confondere specie apparentemente simili, ma potenzialmente pericolose per la salute.
Bisogna quindi partire da una base di studio e approfondimento, avere l’occhio allenato e soprattutto sapere perfettamente che cosa si sta cercando per poterlo riconoscere con certezza. Per questo è una attività svolta quasi solo da guide botaniche, insegnanti di foraging, agronomi o agricoltori esperti, che sono spesso a disposizione di chi voglia approcciarsi all’arte dell’alimurgia, con corsi e lezioni ad hoc, o escursioni.
Seguire i corsi di guide esperte
Una guida insegnerà a scegliere solo le erbe sane, senza macchie o ammaccature, e a raccoglierle quando sono più tenere e gradevoli. Si imparerà anche ad avere rispetto per l’ecosistema e i suoi ritmi: è buona norma, per esempio, non estirpare la pianta intera, ma recidere solo le parti che interessano in modo che possa rigenerarsi a partire dalle radici: solo in questo modo sarà possibile preservare l’ecosistema di quella zona.
Per chi desidera fare da sé, dopo averle raccolte, sarebbe meglio sottoporre le piante a un esperto prima di mangiarle. Proprio creati a questo scopo, esistono portali online o gruppi sui social network in cui è possibile interpellare esperti: per esempio “Riconoscimento flora spontanea italiana” su Facebook o @discoveringwildplant su Instagram.
Le erbe edibili più comuni
Amaranto: si mangiano i semi e le foglie
Amaranthus retroflexus cresce in campi e prati incolti e tra i ruderi, in terreni ricchi di minerali, produce fiori simili a spighe (nappe) che si colorano di rosso porpora o di arancione.
È un falso cereale: piccoli semi contenuti nel fiore maturano tra giugno e ottobre, e sono ricchi di proteine e microelementi quali calcio, ferro, fosforo e magnesio. Inoltre, sono privi di glutine.
Sono maturi quando cadono spontaneamente dalle nappe. Per evitare che si disperdano, si raccolgono le nappe e si strofinano su un setaccio per separare i semi dalle altre parti. I semi si cuociono come i cereali, bolliti o nelle zuppe. Le foglie lanceolate si mangiano cotte come gli spinaci o la bieta.
Cardo mariano: buono sia crudo che cotto
Silybum marianum, famiglia delle Asteraceae, ha grandi dimensioni e cresce nei prati incolti dell’area mediterranea. È molto semplice da riconoscere grazie all’appariscente fiore viola a “pompon” e alle grandi foglie a forma di stella verde smeraldo screziate di bianco, che terminano con una spina su ogni lobo fogliare.
I fusti robusti, privati delle foglie spinose e sbucciati fino al cuore, diventano teneri e dolci, si consumano in insalata, pinzimonio, cotti nelle minestre, o come si farebbe con gli asparagi. I semi infusi della pianta contengono silimarina, dalle proprietà antiossidanti, e altre sostanze che la rendono indicata per le cure depurative del fegato.
Borragine, da provare in frittura
Diffusissima sul nostro territorio, la borragine predilige terreni asciutti e fertili. Ha foglie ovali ellittiche ricoperte da peluria ruvida e piccoli fiori azzurro-violacei raccolti in infiorescenze pendule.
Le foglie giovani perdono la peluria nel lavaggio e si consumano cotte in minestre e zuppe, ripieni, o addirittura fritte in pastella con i fiori (usanza ligure). I fiori possono arricchire le insalate.
Malva non solo per i decotti
Una tra le specie più comuni e facilmente riconoscibili è la malva (Malva sylvestris) con foglie a ombrello e fiori di un acceso lilla-viola. La pianta cresce spontanea in pianura e in collina, nelle regioni a clima temperato. Se ne raccolgono le foglie giovani e i fiori in primavera ed estate.
Le foglie si consumano sia crude in insalata o pesto, sia cotte in minestre, zuppe, o risotti. I fiori si aggiungono crudi alle insalate o in infusi e decotti. La malva non ha solo un sapore molto gradevole, ma anche proprietà benefiche. I fiori e le foglie contengono mucillagini, ottime per lenire le infiammazioni di cavo orale, stomaco e intestino o per calmare gli occhi irritati dalla luce.
Cicoria comune, perfetta nei ripieni
Cichorium intybus cresce spontanea nei campi, ai margini delle strade, nei terreni incolti e nei campi delle zone temperate.
Fa parte della tradizione alimentare popolare e contadina e se ne utilizzano le foglie prima della fioritura crude in insalata aggiunte ad altre erbe per bilanciare il gusto un po’ amaro, o bollite e ripassate in padella, in ripieni, risotti e minestre. Con le foglie secche si possono fare ottime tisane digestive amare e depurative.
Erba vajola: il sapore ricorda quello dei piselli
Su suoli argillosi ricchi di composti azotati, uliveti, prati di campagna è facile incontrare l’erba vajola, o Cerinthe major, delle borraginacee, che vanta proprietà antiflogistiche, astringenti, rinfrescanti, antinevralgiche.
In cucina si usano le foglie basali più tenere, dal sapore dolce e delicato simile a quello dei piselli, e i dolci fiori gialli penduli ricchi di nettare; entrambi a crudo per arricchire le insalate.
Farinaccio, ricchissimo di ferro
L’alternativa “spontanea” agli spinaci o alle bietole è il farinaccio, o farinello, Chenopodium album, amarantacea. Contiene più ferro degli spinaci, fosforo, potassio e vitamina B1.
Riconoscerlo è semplice in quanto la superficie delle foglie sub-romboidali con margine dentato è “farinosa” al tatto, caratteristica da cui prende il nome. Predilige i terreni ricchi di humus e si riproduce facilmente. Se ne consumano le foglie sia crude in insalata sia cotte, bollite o ripassate in padella.
Papavero per un pieno di minerali
Papaver rhoeas, della famiglia delle papaveracee, è una delle piante spontanee più gradevoli da mangiare, dalle foglie fino al fiore: prima della fioritura, tra marzo e aprile, i germogli più teneri possono essere cotti, ridotti in purea, ripassati in padella o aggiunti a crudo in insalata.
I petali di papavero vanno essiccati per utilizzarli in un infuso con effetto blandamente calmante; i suoi semi, contenuti nella capsula, sono maturi quando questa si secca e si apre e, oltre ad avere un effetto rilassante, sono un’ottima riserva di sali minerali, ferro, rame, manganese, calcio e zinco.
Asparago selvatico, un tesoro tra i cespugli spinosi
Asparagus acutifolius è caratteristico della macchia mediterranea e dei boschi di latifolie. È molto più piccolo e saporito dell’asparago coltivato; si raccoglie allo stadio di germoglio spezzandolo alla base senza estirparlo, in modo che possa ricrescere da quel punto.
Essendo molto sottile e di colore scuro, è spesso difficile da individuare, ma esiste un trucco: per trovarlo bisogna cercare i cespugli spinosi verde-bluastri da cui nasce. Si può consumare sia crudo sia cotto e apporta fibre, vitamine A, C, E e sali minerali.
Carota selvatica: buona e depurativa
Daucus carota si raccoglie quando non ha ancora sviluppato il fusto, ma solo le foglie basali.
È vitaminica, rimineralizzante, stimolatrice delle difese immunitarie, cicatrizzante. Le foglie tenere si possono usare in insalata e le radici, fatte bollire, poi condite, sono ottime per depurare l’organismo.
Si ringraziano per la consulenza, Roberto Vertromile, guida botanica, @Discoveringwildplants; Ignazio Schettini agronomo di @ta_rossa_agricola; Roberto Berardi permaculture designer @roberto.berardi_permacultura.