Nella cornice del quartiere residenziale del Villaggio Olimpico, il progetto per l’abitazione anni ’60, a pianta regolare, trasforma lo schema tradizionale di quel periodo in un layout più contemporaneo, caratterizzato da ambienti aperti e percorsi interni “circolari” e fluidi. La soluzione architettonica prende come punto di partenza la forma quadrata della pianta dell’abitazione anni ’60, che lascia ampi spazi sfruttabili al centro, e la doppia esposizione di questo luminosissimo primo piano: la distribuzione degli ambienti viene ora ridefinita in una zona giorno open space e una parte notte con due camere, la matrimoniale e quella dei ragazzi, divisa in due. Un blocco multifunzione centrale di nuova costruzione integra gli spazi di servizio dell’abitazione anni ’60 e diventa il nucleo dell’intera pianta. Sugli sfondi neutri delle pareti, in bianco e nel colore naturale del legno, e dei pavimenti in cemento grigio si articola il restyling decorativo dell’abitazione anni ’60, basato su toni vivaci e sulla scelta “vintage” dei rivestimenti in laminato. A questo proposito, molto accurata è la scelta dei tessuti d’arredo che mescola colori e disegni, perfetti per definire lo stile dell’abitazione anni ’60, eclettico e pop.
Nel quartiere modello
La casa di 110 mq è al Villaggio Olimpico di Roma, realizzato alla fine degli anni ’50 per ospitare nella Capitale gli atleti partecipanti alla XVII Olimpiade del 1960; il complesso, nella zona di Campo Parioli – non lontano dal Foro Italico e dalla via Flaminia – è in seguito diventato, come da programma iniziale, un quartiere di edilizia residenziale pubblica, le cui case sono state prima affittate e in un secondo momento vendute a prezzi popolari. La zona, in passato molto periferica, è ora integrata nel tessuto della città. Il progetto urbanistico, al quale hanno lavorato gli architetti Cafiero, Libera, Luccichenti, Monaco e Moretti, si rifà a quello tipico dell‘accampamento delle legioni romane (castra), definito da un reticolo di strade parallele e perpendicolari tra loro – i decumani con orientamento Est-Ovest e i cardi con orientamento Nord-Sud – tra le quali sorgono i caseggiati con i vari edifici. Le costruzioni sono in cemento armato, accomunate dalla finitura esterna delle facciate in laterizio giallo-dorato; si raggruppano in tipologie diverse a seconda della via sulla quale affacciano: i palazzi più alti (di 5 piani) si concentrano nella zona più interna del Villaggio Olimpico, mentre i più bassi (2 piani) si sviluppano lungo i lati. Un tratto distintivo e molto riconoscibile sono i pilastri portanti in cemento alla base dei fabbricati che “staccano” da terra la struttura sovrastante. Il Villaggio comprende oltre 1.300 appartamenti. L’abitazione anni ’60 presentata di seguito si trova in un edificio della tipologia delle “crocette”, progettate da Luigi Moretti: a due piani, si caratterizzano per la pianta a croce e sono attraversati da strade pedonali.
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nell’abitazione anni ’60 con esposizione su due lati, l’intervento di ristrutturazione ha completamente ripensato il layout originale che prevedeva tante piccoli stanze indipendenti, distribuite da uno stretto corridoio centrale. Del vecchio schema non rimane quasi nulla e quello nuovo è molto più aperto e fruibile. Si basa sulla realizzazione di un elemento centrale con i due bagni e il guardaroba, intorno al quale ruotano gli altri ambienti, con un percorso circolare che dall’ingresso porta alla zona notte, l’attraversa e riconduce quindi senza soluzione di continuità al soggiorno. Con questa distribuzione, i 110 mq dell’abitazione anni ’60 sembrano più ampi.
- L’ingresso si apre direttamente sull’open space, dove le zone del living, del pranzo e della cucina sono distribuite su tre diversi angoli. Il quarto è occupato da una piccola postazione studio.
- Le pareti perimetrali e i pilastri dell’abitazione anni l’60 sono gli unici elementi strutturali in muratura; tutti i nuovi tavolati sono invece in legno, come evidenziato dai colori in pianta.
- I bagni, in posizione centrale, sono entrambi ciechi, solo con prese di luce interne affacciate su altri ambienti della casa. La possibilità è ammessa dal Regolamento edilizio del Comune di Roma (dove si trova la casa), a condizione che ciascun locale sia dotato di un sistema di aspirazione meccanica per il ricambio d’aria. Quando non c’è una finestra esterna, è proibita l’installazione di scaldabagno o caldaie a fiamma libera.
- Nella zona notte dell’abitazione anni ’60, il layout prevede che ciascuna stanza abbia due porte, in modo da non interrompere il percorso circolare dell’abitazione anni l60. Le stanze dei ragazzi e quella matrimoniale sono tra loro collegate tramite un guardaroba-disimpegno passante che distribuisce anche uno dei due bagni.
La soluzione progettuale che costituisce il perno del nuovo layout dell’abitazione è data dalla struttura realizzata al centro della pianta: contiene i vani di servizio e delinea i percorsi interni, ponendosi tra l’area giorno, la stanza matrimoniale e la doppia camera dei ragazzi. Questa sorta di grande box multifunzione che integra più ambienti è delimitato da tramezzature perimetrali e interne di ridotto spessore in multistrato marino: impiegate in sostituzione delle tradizionali murature, ne hanno semplificato l’intervento. Le paretine non sono a tutt’altezza, ma raggiungono 240 cm circa (il soffitto dell’appartamento è alto 300 cm): il blocco funzionale non è libero, ma è coperto in alto sempre da pannelli in multistrato.
Una caratteristica della tipologia architettonica alla quale appartiene l’edificio è quella di avere una struttura portante che prevede il passaggio di due soli pilastri in ogni appartamento: ciò consente la massima libertà nell’organizzazione degli spazi interni dell’abitazione anni ’60. In questo caso, i due elementi verticali sono disposti in linea retta rispettivamente all’altezza dell’isola della cucina e della camera dei ragazzi e sostengono la trave superiore che taglia,centralmente, la pianta. Nel progetto, i pilastri sono stati integrati nelle strutture su disegno dei mobili, tanto da renderne praticamente impercettibile la presenza.
La completa demolizione delle partizioni interne preesistenti dell’abitazione anni ’60 e la realizzazione di nuovi tramezzi, tutti in legno, ha offerto la massima libertà nella scelta dei rivestimenti. Il progettista ha privilegiato due materiali: il laminato per le pareti e il cemento per i pavimenti.
Multistrato + laminato
All’interno dei bagni, le pareti in multistrato marino spesse circa 2 cm che delimitano il perimetro e il soffitto sono rivestite con pannelli di laminato color ottanio. Il materiale, richiamo all’abitazione anni ’60 , permette di scegliere in un’ampia gamma cromatica, ha buona resistenza all’acqua e all’umidità e costi contenuti. I pannelli da 2 mm, inoltre, si incollano con facilità sul legno, cosa che non sarebbe invece possibile su un muro in mattoni o cemento; i tagli sono stati effettuati così da avere sulle superfici verticali meno linee di giunzione possibile e da mimetizzarne la presenza con mensole o altri elementi.
Cemento industriale
In fase di ristrutturazione, una volta liberati gli interni da tutte le tramezzature, si è proceduto al rifacimento del massetto e all’installazione dei pannelli radianti dell’impianto termico. Il supporto, armato con una rete plastica, è stato quindi coperto da una gettata di cemento, livellata poi con una macchina chiamata “elicottero” o lisciatrice che leviga le superfici tramite lame rotative. Il cemento, in colore grigio naturale, dello stesso tipo impiegato per i pavimenti dei capannoni industriali, è stato steso in tutta l’abitazione anni ’60: per la finitura protettiva è stato usato un impregnante trasparente a cera.
Sono stati realizzati, in fase di ristrutturazione due nuovi impianti distinti per il riscaldamento e il raffrescamento. Il primo è un sistema a pannelli radianti, installati contestualmente al rifacimento della pavimentazione in cemento. Come sempre, si tratta di una scelta molto consigliabile quando si rinnova completamente una casa, perché assicura un ottimo comfort con consumi energetici contenuti dovuti anche alle basse temperature dell’acqua all’interno del circuito (30-40 °C). La caldaia a condensazione, autonoma appunto, si trova in questo caso in cucina. L’impianto di climatizzazione è invece canalizzato con condutture installate nel controsoffitto; il sistema funziona con un’unità motocondensante interna, sempre installata in quota, e un’unità esterna che, in mancanza di balconi, ha trovato posto sul tetto (soluzione possibile trattandosi di una palazzina bassa, di soli due piani).
Progetto: arch. Giulio Molaioli, FFD Studio, Via Castelnuovo di Porto 24, Roma – http://www.ffdstudio.eu
Foto: Studio Wolo
Tratto da Cose di Casa numero di settembre 2018