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Famiglie in difficoltà, lavoratori in cassa integrazione o che hanno perso il lavoro, studenti fuori sede o smart workers che, dalle grandi città, sono tornati a casa e non hanno prospettiva di rioccupare il proprio appartamento in affitto per i prossimi mesi. E ancora: uffici, negozi e coworking. Il settore delle locazioni è indubbiamente fra quelli coinvolti – in modo indiretto – dalla crisi economica causata dalla pandemia da Coronovirus che stiamo attraversando. A chiedere uno sconto sul canone (con giusta motivazione) sono in tanti. Ma quali sono le categorie che hanno speranza di ottenere una riduzione? E quando il proprietario di casa è obbligato a concederla? La risposta varia a seconda della tipologia di contratto.
Locazioni residenziali e/o terziarie
Per ciò che riguarda il mercato privato dei contratti (in genere, 4+4 o 3+2 per le locazioni abitative o 6+6, per quelle commerciali), al momento nessuna norma di legge riconosce un diritto per gli inquilini o un obbligo per i proprietari di rivedere l’ammontare del canone. Anche perché la situazione che si è creata non è imputabile al locatore. E tanto più che l’alloggio è sempre rimasto e rimane a disposizione dell’inquilino.
Stando così le cose, le strade che si aprono per chi si trovi in difficoltà con il pagamento dell’affitto sono due.
- La prima è quella (consigliata) di contattare il proprietario e cercare di raggiungere un’intesa. La mediazione è sempre la strada migliore: tenendo anche conto che, se l’accordo viene registrato in tempo utile, il proprietario sarà esentato dal pagamento delle imposte sui canoni non riscossi. Inoltre, è possibile anche pattuire una dilazione.
- La seconda via è quella di recedere dal contratto (ovviamente se si è nelle condizioni) per gravi motivi (il Coronavirus a determinate condizioni può esserlo), inviando un preavviso di almeno sei mesi. Qualunque comunicazione va trasmessa a mezzo di lettera raccomanda o via pec (oppure chiedendo l’invio di una conferma di ricezione del messaggio inviato via mail ordinaria). Il proprietario può contestare la sussistenza dei gravi motivi. In ogni caso, l’inquilino è tenuto al pagamento del canone per sei mesi (o per altro periodo concordato fra le parti) anche se l’immobile viene liberato seduta stante. Il regime fiscale (tassazione ordinaria o cedolare secca) non sono rilevanti ai fini delle possibilità offerte dalla normativa.
Affitti a studenti, lavoratori fuori sede e con contratti a termine
Nel caso di contratti per studenti universitari (con durata che varia da sei mesi a tre anni rinnovabili per uguale periodo), il conduttore ha facoltà di recedere dal contratto per gravi motivi (eventi imprevisti ed imprevedibili che non dipendono dalla volontà del conduttore e che rendono oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto), previo avviso da recapitarsi mediante lettera raccomandata almeno tre mesi prima. Tale facoltà è consentita anche a uno o più dei conduttori firmatari e in tal caso, dal mese dell’intervenuto recesso, la locazione prosegue nei confronti degli altri, ferma restando la solidarietà del conduttore recedente per i pregressi periodi di conduzione.
Un caso peculiare è rappresentato dagli studenti Erasmus. Questi possono richiedere la sospensione del pagamento se richiamati nel loro Paese, dal momento che non percepiscono più la borsa di studio. Per loro, si potrà prevedere il prolungamento della durata del contratto alla riapertura degli Atenei.
Gli stessi princìpi, quanto al recesso per gravi motivi, valgono per i contratti transitori con durata sino a 18 mesi.
Contratti per uso commerciale
Per i locali commerciali (accatastati C/1, botteghe e negozi), che ospitino attività sospese a causa della pandemia, il decreto Cura Italia ha previsto la possibilità per i titolari del contratti di affitto di fruire di un credito d’imposta pari al 60% del costo del canone di locazione. L’agevolazione al momento è stata prevista per il solo mese di marzo. Per ottenere il bonus è necessario pagare il canone per intero. Il credito d’imposta è destinato alle sole attività ritenute “non essenziali”, mentre sono state escluse tutte le attività che non hanno dovuto sospendere il proprio servizio in virtù delle imposizioni governative.
Se l’accordo non si trova
Se un proprietario nega un accordo di riduzione a una famiglia che si trovi in una situazione economica precaria e non si può permettere né di perdere la casa e neppure di pagare il canone, è possibile rivolgersi a un’associazione di categoria o contattare gli organismi di mediazione, pratica ammessa anche per queste problematiche o direttamente ad un legale. L’intervento di un supporto esterno può contribuire a sciogliere la situazione, anche se non garantisce il risultato.
Se si raggiunge un accordo con il proprietario
La possibilità di ridurre il canone in caso di difficoltà di pagamento da parte dell’inquilino è ammessa a prescindere dalla tipologia di locazione. L’accordo, quindi, è possibile sia nel caso di locazione di immobili per uso abitativo, sia nel caso di locazione di immobili commerciali. Non ci sono differenze in riferimento alla durata del contratto, né relativamente al regime fiscale di tassazione ordinaria o cedolare secca. Non sono dovute spese di registrazione e l’atto è esente dal bollo, come espressamente previsto dall’art. 10 del dl 133/2014.
Le imposte si pagano sull’importo dichiarato al momento della registrazione, quindi se si riduce l’ammontare si deve comunicare il nuovo importo per evitare di pagare in più, o di aprire un contenzioso in caso di controlli. La registrazione è gratis per legge e la circolare 12/2016 illustra le regole. In seguito alla chiusura degli uffici è indicata sul sito la possibilità di inviare i documenti via mail. Si può comunque attendere il mese di giugno perché anche per questi atti (circolare n. 8) i termini sono sospesi.