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È decisamente aumentato il numero di persone che oggi riservano particolare attenzione alla qualità dell’aria, sicuramente perché c’è una maggiore esposizione mediatica del problema ambientale e anche perché si è ben radicata la consapevolezza dei problemi per la salute causati dall’inquinamento.
Di pari passo, ha assunto sempre più rilevanza anche la problematica relativa alla salubrità dell’aria indoor, facendo riflettere un po’ tutti sul microclima malsano che caratterizza le case, sempre più a tenuta ermetica e poco aerate, provocato anche da scelte talvolta poco attente alla qualità.
Anche in questo caso, il merito della maggiore consapevolezza dei rischi per la salute va attribuito a una più capillare veicolazione di informazioni, grazie a campagne di sensibilizzazione, non di rado promosse da aziende del settore edile.
Si sta diffondendo, quindi, un senso di responsabilità rispetto a nuovi contributi che ciascuno può fornire per migliorare i parametri di qualità dell’aria, della propria città e della propria casa. E l’edilizia può giocare in prima linea.
Pitture antismog per fuori e per dentro
Per quanto riguarda l’impatto sulla qualità dell’aria outdoor, le possibilità per i materiali dell’involucro edilizio di giocare un ruolo fondamentale sono numerose: vi possono partecipare quelli strutturali – se certificati e realizzati usando elementi naturali o provenienti da filiere di recupero – ma persino le finiture esterne e, fra queste, sicuramente ci sono le pitture. Anzi, proprio il rivestimento, che è a contatto con l’aria, è chiamato in causa.
Le pitture di nuova concezione possono avere un comportamento attivo nel processo di riduzione delle sostanze nocive: possono “mangiare” lo smog, proteggere le facciate dagli agenti inquinanti, autopulirsi, contribuendo così alla lotta all’inquinamento e, allo stesso tempo, preservando le strutture.
Si applicano esattamente come quelle “tradizionali” e solo in alcuni casi hanno un costo più alto, giustificato peraltro dal percorso di innovazione e ricerca seguito per arrivare alla loro formulazione e alle certificazioni presso enti terzi accreditati.
Anche per le case, dove è più semplice agire in autonomia e in tempi ridotti con risultati immediati, sono state messe a punto pitture “virtuose”. Ci sono quelle che permettono di combattere l’inquinamento indoor già presente, grazie ai loro componenti attivi, e altre che aiutano a non aggiungere sostanze nocive, perché totalmente neutre.
Pitture attive, frutto di reazioni chimiche
Sono diverse le tecnologie che permettono di formulare pitture attive; le più diffuse mettono in relazione fotocatalisi e nanoparticelle, ma ci sono anche specifici brevetti aziendali che, attraverso altri percorsi chimici, arricchiscono le proprie pitture di proprietà antinquinanti.
Ne dà conferma la Sezione Valutazione Ambiente Urbano di ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (www.isprambiente.gov.it), secondo cui esistono diverse tipologie di pitture denominate “antinquinamento”.
Una di queste è costituita dalle vernici fotocatalitiche che utilizzano catalizzatori a base di biossido di titanio; queste vernici, in presenza di aria e luce, attivano un processo ossidativo che trasforma in inerti (nitrati di sodio, carbonati di sodio e calcare) le sostanze organiche ed inorganiche inquinanti con cui entrano in contatto. Tali reazioni chimiche offrono anche funzioni antinquinamento, antisporcamento (self cleaning) e antibattericida.
Dall’analisi del settore emergono dati confortanti sull’utilizzo all’esterno di questi prodotti e risulterebbe chiaro anche quanto i risultati positivi ottenuti dalle pitture mangia-smog siano ulteriormente migliorabili.
È più controversa, invece, la questione della fotocatalisi per quanto riguarda le pitture per interni. Ma il percorso di ricerca è in continua evoluzione, per far sì che l’efficacia di questi prodotti “salva-aria”cresca nel tempo, contribuendo sempre più all’abbattimento dell’inquinamento, senza controindicazioni di alcun tipo.
“AnthropOceano”, murale mangia-smog a Milano
Lo “street artist” Federico Massa, in arte Iena Cruz, ha realizzato a Milano il murale mangia-smog AnthropOceano per rendere tutti più consapevoli riguardo alle tematiche ambientali e stimolare una maggiore attenzione verso la tutela del territorio. Realizzato in collaborazione con Worldrise Onlus, che si occupa di conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino, il murale è stato realizzato con la pittura Airlite, dell’omonima azienda, capace di ridurre l’inquinamento atmosferico. Mariasole Bianco, presidentessa di Worldrise esprime così la propria soddisfazione per il progetto: «È un modo innovativo di sensibilizzare il contesto urbano su temi che non possono essere più ignorati. È dalle nostre città e dalle nostre azioni quotidiane, infatti, che può e deve nascere il cambiamento per il futuro di cui il nostro pianeta ha bisogno, e quest’opera vuole ricordarcelo». Per Iena Cruz si è trattato della seconda tappa; il murale di Milano, infatti, segue “Hunting Pollution” realizzato a Roma. Entrambi esprimono l’attenzione dell’artista verso le tematiche ambientali; quello di Milano, per esempio, ha l’obiettivo di far riflettere sui segni, spesso indelebili, lasciati dall’uomo sui fondali dell’Oceano, testimonianza di una catastrofe ambientale.
Come funziona la fotocatalisi delle pitture antismog
La reazione chimica su cui si basa gran parte delle pitture antismog, è attivata dalla luce e permette, grazie alla presenza nel prodotto di particelle nanometriche al titanio, di trasformare gli elementi inquinanti in sostanze innocue. Quando le pitture fotocatalitiche vengono utilizzate per gli esterni, le sostanze organiche, decomposte grazie al processo legato alla luce, addirittura diventano autopulenti: ovvero, con la pioggia vengono lavate via dalle facciate. Le nanoparticelle si possono attivare sia con la luce naturale sia con quella artificiale, e rappresentano una buona soluzione tanto per gli interni quanto per gli esterni. La posa di questa pittura attiva non si differenzia da quella dei prodotti “tradizionali”.
Presa di sporco dopo l’esposizione naturale
Risultati dei test eseguiti confrontando una pittura silossanica standard e tre fotocatalite con varie percentuali di titanio fotocatalitico.
In bianco o pastello. Le pitture attive con nanoparticelle per esterni sono disponibili nei colori neutri, a partire dal bianco, e in quelle pastello. In queste tonalità possono garantire la resistenza cromatica alle continue trasformazioni chimiche mangia-smog.Nella foto, facciata rifinita con Façade Topcoat Self-Clean di Sigma Coatings, (www.sigmacoatings.it) una finitura a base d’acqua autopulente.
Inquinamento indoor: che cosa lo determina e come evitarlo
Insieme ai Voc, il più comune inquinamente indoor è la formaldeide, un composto organico in fase di vapore (gas), incolore, di odore pungente, solubile in acqua.È prodotto da processi di combustione ed è emesso da resine usate per l’isolamento e da quelle impiegate nella produzione di alcuni pannelli legnosi (truciolare e compensato), di tappezzerie, moquette, tendaggi e altri tessili sottoposti a trattamenti antipiega, oltre che di altro materiale da arredamento. Ma purtoppo è presente anche in molti collanti edilizi, detergenti per la casa e, soprattutto, in vernici e prodotti di finitura.Nelle abitazioni, infatti, i livelli di formaldeide sono generalmente compresi tra 0,01 e 0,05 mg/m3, superiori rispetto a quelli outdoor. Per questo, l’OMS, Organizzazione mondiale della sanità, ha fissato il valore massimo di esposizione a 0,1 mg/m3 (in media su 30 minuti).
Non è un caso che le maggiori concentrazioni si registrino dopo un intervento edilizio o di finitura o a seguito dell’inserimento di nuovi mobili in truciolare, di parquet o moquette di scarsa qualità.
Non dimentichiamo che la formaldeide è sospettata di essere uno degli agenti maggiormente implicati nella Sindrome dell’edificio malato (Sick Building Syndrome), tanto da essere utilizzata come unità di riferimento per esprimere la contaminazione di un ambiente.
Le pareti interne, dunque, costituiscono una sorgente emissiva continua-irregolare di sostanze nocive, i cui flussi però diminuiscono nel tempo anche in relazione alle variazioni microclimatiche (velocità dell’aria, umidità e temperatura). Come buona prassi, è opportuno, per alcuni giorni, ventilare i locali sottoposti a nuova verniciatura prima di soggiornarvi, in modo che gli inquinanti possano disperdersi. Ma per minimizzare i rischi legati all’uso delle vernici indoor sono stati messi a punto prodotti a bassa emissione di inquinanti, certificati dai marchi cosiddetti ecologici. Quello Ecolabel UE, per esempio, si fonda su criteri scientifici in relazione all’intero ciclo di vita dei prodotti testati.
L’analisi critica di Alberto Strini ricercatore dell’Istituto delle tecnologie della costruzione CNR, http://www.itc.cnr.it
Quali tecnologie sono alla base delle pitture antismog?
La tecnologia principale utilizzata nella formulazione di tali prodotti si basa sull’effetto fotocatalitico (ottenuto usualmente con ossido di titanio nanocristallino o suoi derivati) che permette di ossidare diversi inquinanti dell’aria, grazie all’ossigeno atmosferico e all’attivazione della luce (tipicamente quella ultravioletta).
Che differenza c’è fra quelle per interni e quella per esterni?
L’ossido di titanio, per essere attivato, richiede radiazione ultravioletta che è solitamente disponibile in ambienti esterni (grazie alla normale radiazione solare), ma di prassi non è presente in quelli interni, o quantomeno non in quantità apprezzabili. Per operare indoor, quindi, è necessario utilizzare fotocatalizzatori che siano sensibili almeno a una parte della radiazione visibile.
Il contributo alla lotta contro l’inquinamento può essere quantificato?
Il punto fondamentale è che il rapporto costi/benefici di questa tecnologia non è chiaro. Nell’ambiente outdoor, il problema principale è il rapporto estremamente sfavorevole tra la superficie di applicazione e il volume di aria che è necessario trattare per avere un effetto incisivo sul grado di inquinamento. In pratica, nella maggior parte delle situazioni, anche con un catalizzatore funzionante a pieno regime la sua attività sarebbe resa sostanzialmente inutile dal continuo apporto di nuovi inquinanti dovuti alla movimentazione atmosferica. Un problema specifico nell’ambiente indoor, invece, è l’assenza di radiazione UV che richiede, quindi, l’uso di catalizzatori attivati dalla luce visibile e che hanno diversi inconvenienti, tra cui il costo, la stabilità tipicamente minore e la presenza di una colorazione specifica che può risultare limitativa nelle applicazioni finali. Il problema generale di questa tecnologia, particolarmente critico nelle applicazioni indoor, è comunque il possibile rilascio di sostanze nocive nell’ambiente dovuto alla perdita di nanoparticelle di catalizzatore o alle emissioni di composti chimici reattivi, causate ad esempio da intermedi di reazione liberati prima della loro completa ossidazione.
Richiedono manutenzione o un ripristino per continuare a essere attive?
L’attività fotocatalitica può essere degradata da diversi meccanismi, tra cui la perdita del fotocatalizzatore, l’occlusione fisica causata da depositi superficiali e l’accumulo di prodotti di reazione non volatili che possono interferire con il fotocatalizzatore. Si tratta quindi sempre di sistemi con una vita utile non illimitata.
Quali sono le tecniche di applicazione?
Sono quelle tradizionali. Ma, come sempre, è necessario prestare la massima attenzione alle schede tecniche dei singoli prodotti, sulle quali sono indicate le condizioni ambientali idonee, gli strumenti corretti, le eventuali precauzioni, le necessarie preparazioni del supporto…
Tratto da Cose di Casa di aprile 2020