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Fra le tante novità contenute nella norma che la scorsa estate ha modificato le regole sulla ripartizione delle spese per il riscaldamento centralizzato, la più importante è la modifica dell’articolo 9 del Dlgs 102/2014.
Dal 29 luglio 2020, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo energetico, l’importo complessivo va suddiviso tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 50% agli effettivi prelievi volontari di energia termica.
Questo vale per il riscaldamento e il raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, nonché per l’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico (se prodotta in modo centralizzato), nei condomini o negli edifici polifunzionali alimentati da teleriscaldamento, teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento. Ciò significa che da adesso in avanti per la ripartizione delle spese di riscaldamento non si applicheranno più i criteri previsti dalla discussa norma tecnica UNI 10200, ma bisognerà limitarsi a prevedere una quota di almeno il 50% di consumo volontario, che varia da utente a utente e dipende da quanto ciascun condomino tiene accesi i termosifoni, regolando le termovalvole (obbligatorie per legge dal 2017). Di conseguenza, la quota di consumo involontario, che non dipende dalle abitudini dei singoli, ma in larga parte dalle dispersioni di calore dell’impianto, non può essere mai superiore al 50%. La norma specifica che tali importi possono essere ripartiti secondo i millesimi di proprietà o “di riscaldamento”, i mq, i metri cubi utili o le potenze installate.
Le regole sulla ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in condominio sono cambiate lo scorso 29 luglio, quando è entrato in vigore il Dlgs 73/2020, che dà attuazione alla direttiva europea 2018/2002 la quale, a sua volta, modifica la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica. Il tutto per contribuire all’attuazione del principio europeo che pone l’efficienza energetica “al primo posto”.
Altre novità importanti sul riscaldamento
Cambiano anche le informazioni sulla fatturazione e sul consumo, che devono basarsi sull’uso effettivo o sulla lettura del ripartitore di calore. La legge prevede che la fatturazione si basi sul consumo stimato, ma solo nel caso in cui l’utente non abbia provveduto a comunicare l’autolettura per il periodo relativo. Acquista maggiore importanza, infine, il ruolo dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, che insieme al Cti, il Comitato termotecnico italiano, ha il compito di pubblicare un rapporto contenente un’analisi del mercato e dei costi dei servizi energetici a livello nazionale, suddiviso per aree geografiche.
Decide l’assemblea
Entro il limite minimo del 50% dei consumi, l’assemblea può decidere la percentuale della quota dei consumi involontari, che deve essere avvalorata da una diagnosi energetica eseguita da un tecnico autorizzato: in seconda convocazione, occorre la maggioranza degli intervenuti e 333 millesimi.
In molti condomini, però, è tuttora applicata la tabella redatta seguendo la UNI 10200; in tal caso, per adottarne una nuova servono 500 millesimi e la maggioranza degli intervenuti; se l’assemblea non raggiunge le maggioranze, ciascun condomino può rivolgersi all’Autorità Giudiziaria
a norma dell’articolo 1137 del Codice civile.
Non cambiano le zone climatiche
Una diagnosi tecnica per verificare il consumo energetico dell’edificio può accertare se ci sono “squilibri” tra le singole unità immobiliari dello stabile.
In presenza di differenze di fabbisogno termico per metro quadrato superiori al 50% tra gli appartamenti, spetta all’Enea indicare come ripartire le spese (tenendo conto di fattori quali zona climatica, prestazioni energetiche dell’edificio o l’anno di costruzione), fornendo una guida da sottoporre al parere del Ministero dello Sviluppo Economico.
Rimane invariata, invece, la suddivisione del Paese in sei zone climatiche individuate in funzione dei gradi-giorno, ossia la somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura degli ambienti (pari a 20 °C per convenzione) e la temperatura media esterna giornaliera. Non cambia nemmeno, per ciascuna zona climatica, il periodo di accensione del riscaldamento e il numero di ore in cui l’impianto può stare in funzione. L’articolo 3 del Dpr 74/2013 fissa i valori massimi della temperatura ambiente, prevedendo che nelle abitazioni la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti riscaldati di ciascuna unità immobiliare, non deve superare i 22 °C (20 °C più 2 °C di tolleranza).
Tra ordinanza comunale e decisione assembleare
L’articolo 4 del Dpr 74/2013 prevede che «gli impianti termici possono essere attivati solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l’esercizio e, comunque, con una durata giornaliera non superiore alla metà di quella consentita in via ordinaria».
L’articolo 5 aggiunge che «i sindaci, con propria ordinanza, possono ampliare o ridurre, a fronte di comprovate esigenze, i periodi annuali di esercizio e la durata giornaliera di attivazione degli impianti termici, nonché stabilire riduzioni di temperatura ambiente massima consentita sia nei centri abitati sia nei singoli immobili».
Il terzo responsabile dell’impianto termico
Nei condomini con riscaldamento centralizzato, il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto termico è l’amministratore di condominio. Questi può delegare il compito al cosiddetto “terzo responsabile” che, firmando un contratto, eredita le responsabilità dell’amministratore.
Il terzo responsabile è nominato dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti un terzo dei partecipanti e almeno un terzo del valore dell’edificio (333 millesimi), che approva anche l’entità del compenso del professionista, ripartito fra i proprietari in base ai rispettivi millesimi. E quindi, nel caso in cui dovesse verificarsi un’ondata di gelo anomala, il sindaco ha il potere di emettere un’ordinanza e modificare sia il periodo di accensione-spegnimento sia gli orari giornalieri di erogazione del calore.
L’assemblea di condominio può, invece, decidere in che modo distribuire le ore complessive di accensione. In zona C, ad esempio, è previsto che l’impianto resti acceso per un massimo di 10 ore, lasso di tempo che l’assemblea, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio, può scegliere come distribuire durante il giorno.
Sostituire la caldaia
Grazie ai nuovi incentivi statali, entrati in vigore lo scorso mese di luglio, sostituire la vecchia caldaia a metano, gasolio o gpl con una di ultima generazione a condensazione risulta ancora più conveniente. Il Superbonus al 110%, in particolare, include la sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in condominio fra gli “interventi principali o trainanti” che consentono di accedere allo sconto fiscale.
La norma specifica, però, che è necessario installare: generatori di calore a condensazione, con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto; generatori a pompe di calore, ad alta efficienza, anche con sonde geotermiche; apparecchi ibridi, costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione, assemblati in fabbrica ed espressamente concepiti dal fabbricante per funzionare in abbinamento tra loro; sistemi di microcogenerazione, che conducano a un risparmio di energia primaria pari almeno al 20%; collettori solari.
Condizione essenziale per accedere al Superbonus è il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio e non è detto che la sostituzione della sola caldaia determini il doppio salto. Di conseguenza, per usufruire dello sconto fiscale e realizzare l’intervento a costo zero, il condominio può decidere di eseguire interventi su altre parti dello stabile, ad esempio realizzando un cappotto termico, sostituendo gli infissi o installando dei pannelli fotovoltaici, in modo tale da raggiungere l’obiettivo energetico previsto dalla legge.
Per procedere alla nuova installazione, in assemblea è necessario un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi), anche se in presenza di un attestato energetico, trattandosi di un intervento volto al contenimento del consumo energetico, può essere sufficiente la maggioranza semplice pari e quindi i 333 millesimi.
Il costo della nuova caldaia va ripartito fra tutti i condòmini proprietari, in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà.
Per l’intervento è ammessa la cessione del credito o, in alternativa, lo sconto in fattura.
Staccarsi dall’impianto comune?
L’articolo 1118, comma quarto, del Codice civile, prevede che «il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma».
Nel caso in cui sussistano le condizioni tecniche per compiere il distacco, il condomino che rinuncia all’impianto comune continua a pagare le spese di carattere straordinario, compresa la quota relativa alla sostituzione della caldaia centralizzata.
Il condomino, infatti, nonostante il distacco resta comproprietario dell’impianto.
In collaborazione con avv. Silvio Rezzonico, presidente nazionale Federamministratori/Confappi, Tel. 02/33105242, http://www.fna.it
Tratto da Cose di Casa cartaceo di febbraio 2021