Cini Boeri – recentamente scomparsa – è stata una delle più importanti architetto e designer donna del XX secolo in Italia. I vari premi ricevuti, fra cui 2 Compassi d’oro – nel 1979 agli Strips (Arflex) e nel 2011 il Compasso d’Oro alla carriera – testimoniano la perseveranza e il lavoro costante nel corso degli anni. Staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, dopo la Liberazione ha continuato a credere nei valori democratici difendendo la progettazione di spazi e arredi generosi per la vita delle persone.
Sorridente e combattiva anche durante questa intervista del 2011 nella sua casa, di cui pubblichiamo uno stralcio. Lasciamo la parola all’intervistatore, l’architetto Tommaso Cigarini, che ce l’ha proposta.
“La casa era lo specchio della sua personalità. Aveva arredato con gusto e intelligenza l’ampia zona giorno separando soggiorno, sala da pranzo e studio con leggere librerie sospese. Lo spazio fluiva da un ambiente all’altro.
Mi accolse nella sua casa per l’intervista e ci sedemmo sul suo divano moderno di pelle bianca. Alle pareti quadri di arte contemporanea, collezionati da lei con gusto nel corso degli anni, assieme a foto in bianco e nero della sua famiglia e delle case progettate in Sardegna. Nel corso della sua lunga carriera, dagli anni ’50 ad oggi, ha sempre portato avanti un’architettura funzionale, minimalista, senza decorazioni e attenta alle esigenze dell’uomo. Moderno anche il suo approccio con il cliente. Considerava essenziale capire il cliente, ascoltare con calma i suoi bisogni desideri e solo dopo cominicare a disegnare e progettargli la casa. La sua architettura e gli oggetti di design da lei disegnati sono sempre discreti, generosi e mai impositivi. Le era capitato più volte che i clienti la chiamassero per ricordarle quanto erano felici di abitare in una casa disegnata da lei.
Ecco alcune delle domande che le rivolsi sul suo lavoro di architetto e sui consigli da dare ai giovani”.
Che cosa ritiene importante nella formazione di un architetto?
“Parecchie cose che non si sanno. Vorrei dire ai giovani architetti che la nostra è una professione dedicata all’abitare dell’uomo. Questo lo pensano in pochissimi fra i grandi e i piccoli architetti. Se sappiamo esprimere il nostro progetto con arte va bene, ma l’importante è ricordare che abbiamo anche un impegno sociale“.
Come vede il futuro di un giovane architetto oggi in Italia?
“Ricordo che durante il Movimento Studentesco, parlando un giorno con Anna Ferrieri, collaborattrice di Gardella, le dicevo: “questi ragazzi sono bravi, ma riescono a fare qualcosa?”. E lei mi ha risposto: “Anche noi possiamo far qualcosa perché la nostra matita è un fucile”. Ed era vero. Spesso parli con persone diverse da te. Il tuo interlocutore può essere di qualsiasi genere, anche se all’inizio ha un po’ di diffidenza, si difende. Con il lavoro tu puoi trasmettergli molto, se ricordi che tu lavori non per te stesso o per la tua fama, ma per la gente che deve abitare gli spazi che progetti. Questo è un impegno sociale”.
Com’è cambiata la professione dell’architetto dagli anni Cinquanta e Sessanta a oggi?
“Molto. Parlando di architettura, l’approccio con il cliente è sempre più complesso. Il problema è che nessuno crede di non esser capace di farsi una casa, uno studio o un edificio. Tutti hanno l’ambizione di saper fare queste cose. Per cui devi cercare di ascoltarli, interpretarli e suggerire. È un lavoro di psicologia. Ricordo tanti clienti troppo assenti già a partire dalla progettazione, uno sbaglio. È importante procedere insieme durante questa fase iniziale, ottenendo la loro fiducia”.
Come avviene la suddivisione del lavoro nel suo studio?
“Varia lungo gli anni ed a seconda dei lavori. Sono piuttosto accentratrice nella progettazione, cerco poi di distribuire un po’ di compiti ad ognuno dei miei collaboratori. Succedono talvolta cose spiacevoli: i ragazzi del mio studio non mi dicono “Sei vecchia”, (lo sono vecchia) ma mi dicono “Architetto, la settimana scorsa mi ha detto il contrario!”. E io rispondo che cambio molto spesso idea, che un progetto passa attraverso tantissime fasi e finché non sei sicuro di aver fatto il meglio di cui sei capace, il progetto può cambiare in continuazione. Mi piace moltissimo progettare, lo faccio con gioia. Un collaboratore gentilissimo mi ha detto che ogni giorno impara qualcosa da me e che di ciò è molto contento. E anch’io ho imparato molto da lui, da Zanuso!”
Quando arriva un nuovo progetto in studio, che rapporto si instaura tra lei e i suoi committenti?
“Cerco di capire come sono. Parlando con loro, del loro modo di vivere ma anche del più e del meno. In passato, ad una domanda rivolta ad una coppia, spesso il marito prendeva la parola azzittendo la moglie. Adesso la situazione si è un po’ ribaltata. Parlano volentieri e questo è molto importante. Bisogna capire i clienti, altrimenti si progetta la casa per sé e non per loro. Bisogna spiegare loro che il colore, la luce possono cambiare la forma dello spazio. Sono importantissimi”.
Una delle cose più belle che possano capitare a un architetto: un cliente che ti chiama dopo anni per commissionarti una nuova casa.
“Un esempio: tantissimi anni fa ho costruito in Alsazia per un tedesco una casa semplice, per la sua famiglia. Progetto che amo molto ancora adesso. Questo cliente, tutti i Natali, ma proprio tutti, mi scrive 2 righe dicendomi che vivono benissimo nella casa che ho loro fatto e che mi ringraziano ancora. Tutte le volte mi commuovo.”
Gli oggetti di design che disegna hanno spesso degli elementi che ne permettono un utilizzo flessibile da parte dell’utente. Quanto è importante il fatto di lasciare all’utente la libertà d’uso dei propri spazi, mediante un arredo flessibile?
“Importantissimo. Migliora il modo di vivere della gente. Mobili con ruote o pareti scorrevoli possono cambiare le forme degli spazi. Sono sempre del parere che la vita sia bella se hai una buona dose di libertà nel tuo comportamento quotidiano. La flessibilità rende possibile questa libertà. Anche nella vita di coppia accade di poter stare insieme ma scegliendolo, non obbligati da un letto solo, da una stanza sola… Se possibile, propongo di avere un’autonomia, quando c’è lo spazio sufficiente. Gli oggetti che disegno cercano sempre di offrire qualcosa di più in questo senso. Per chi ha case grandi, propongo sempre, oltre alla camera matrimoniale, un’altra stanza. In questi casi dico al cliente: se uno dei due avesse un grande raffreddore, di notte l’altro potrebbe dormire nell’altra stanza’. L’importante è poter scegliere di stare insieme, non essere obbligati.
Quanto è importante l’agire politico di un architetto nella società?
“Penso lo sia molto. Noi architetti dovremmo essere capaci di proporre il nuovo. Come il medico può aiutare la ricerca nel campo della medicina, l’architetto dovrebbe aiutare la gente a vivere meglio, nel modo più giusto. Sa cosa vorrei fare? Vorrei progettare una scuola molto rivoluzionaria: una scuola elementare dove non ci sia premio né castigo, ma la responsabilizzazione e la collaborazione, dove i bambini di quinta elementare possano insegnare ciò che sanno a quelli della prima”.