Animali in condominio: si può vietare il possesso?

A chi abita in condominio si può proibire di tenere un cane, un gatto o più, in generale, un animale domestico? E che cosa intende sopprattutto con questo termine?

Avvocato Matteo Rezzonico
A cura di Avvocato Matteo Rezzonico
Pubblicato il 09/03/2021Aggiornato il 10/03/2021
Animali in condominio: si può vietare il possesso?

Fino a qualche anno poteva capitare di rinunciare ad acquistare l’appartamento dei propri sogni perché il regolamento condominiale di tipo contrattuale dello stabile vietava il possesso di un animale domestico. La situazione è radicalmente cambiata con l’entrata in vigore della legge di riforma del condominio (11 dicembre 2012, n. 220, in vigore dal 18 giugno 2013), che ha aggiunto un ultimo comma all’articolo 1138 del Codice civile, secondo il quale «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici».

Una regola che si applica a tutti i regolamenti approvati dopo l’entrata in vigore della legge, ma cosa succede con i vecchi regolamenti? Il divieto rimane tale oppure la nuova norma ha effetto retroattivo? Nel primo caso, l’unica strada per detenere in casa gli animali sarebbe modificare il regolamento contrattuale, azione che necessita del voto unanime di tutti i condòmini.

Due orientamenti

La questione è oggetto di dibattito e vede coesistere due differenti orientamenti.

Per il primo, il divieto nel regolamento antecedente l’entrata in vigore della nuova norma resta valido e quindi, senza unanimità e modifica del regolamento, gli animali restano fuori dal condominio.

Il secondo orientamento è quello prevalente e considera l’ultimo comma dell’articolo 1138 del Codice civile una norma retroattiva, che va applicata anche ai vecchi regolamenti. In effetti, l’articolo 155 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile dispone che «cessano di avere effetto le disposizioni dei regolamenti di condominio che siano contrarie alle norme richiamate nell’ultimo comma dell’art. 1138 del codice». A ciò si aggiunga la posizione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 1987 (ratificata dall’Italia con la Legge 4 novembre 2010, n. 201), che riconosce il ruolo importante degli animali da compagnia «a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società». E ancora, l’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ratificato dall’Italia con la legge 2 agosto 2008, n. 130), spiega che «l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti».

Che cosa si intende per animali domestici

Ad oggi, quindi, nessun amministratore può vietare a un condomino di possedere un animale domestico. Nella categoria, però, non rientrano soltanto cani e gatti, gli amici a quattro zampe certamente più diffusi. Il Regolamento n. 998 del 26 maggio 2003 identifica come “domestici” anche furetti, invertebrati (esclusi crostacei e api), pesci tropicali decorativi, anfibi e rettili, uccelli (esclusi alcuni volatili disciplinati da specifiche direttive), roditori e conigli domestici.

Rumori molesti e igiene

Il via libera in condominio agli animali domestici non esclude che il proprietario non debba rispettare le norme igienico-sanitarie ed evitare che l’animale possa arrecare disturbo agli altri condòmini.

Con riferimento al cane, il padrone deve sempre tenerlo al guinzaglio. La museruola, invece, è consigliata se l’esemplare è particolarmente aggressivo.

Attenzione anche ai rumori molesti come il latrato notturno del cane o il miagolio del gatto. Sul punto, la Cassazione (sentenza 9 dicembre 1999, n. 1394) ha osservato che «ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659, comma 1, c.p., è necessario che i lamentati rumori abbiano attitudine a propagarsi ed a costituire quindi un disturbo per una potenziale pluralità di persone, ancorché non tutte siano state poi disturbate. Infatti l’interesse specifico tutelato dalla norma è quello della pubblica tranquillità e pur non essendo richiesto, trattandosi di reato di pericolo, che il disturbo sia stato effettivamente recato a una pluralità di persone, è necessario tuttavia che i rumori siano obiettivamente idonei ad incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone».

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