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Il teenager che suona la batteria dopocena; gli interminabili passi sul parquet di due provetti ballerini; la televisione ascoltata ad alto volume in dolby surround. Sono soltanto alcuni esempi di comuni rumori in condominio che possono verificarsi e che, nella maggior parte dei casi, sfociano in liti tra vicini di casa. Nonostante le diatribe di questo tipo siano all’ordine del giorno, nel Codice civile non esiste alcuna norma che stabilisca qual è il rumore massimo consentito in condominio. L’articolo 844 si limita a osservare che non si possono vietare rumori, esalazioni e immissioni di fumo o calore, a meno che non superino la normale tollerabilità, tenendo conto anche del luogo in cui è ubicato lo stabile. Sul concetto di “normale tollerabilità”, negli anni si sono pronunciati tribunali e Cassazione e, oggi, dopo una miriade di sentenze, un rumore è ritenuto molesto se oltrepassa i 3 decibel rispetto al rumore di fondo. Ciò significa, per esempio, che i rumori prodotti in uno stabile ubicato nel quartiere “della movida” avranno una soglia di tollerabilità più alta rispetto ad altri che vengono percepiti in un edificio sito in una tranquilla area residenziale, lontana da negozi e traffico.
Che cosa dice la legge sui rumori in condominio
- I riferimenti legislativi sono due articoli del Codice civile
- L’amministratore ha un ruolo nel derimere le diatribe, convocando l’assemblea
- All’inquilino che vìola il regolamento può essere risolto il contratto
In tema di rumori in condominio, l’articolo 844 del Codice civile prevede che «il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi». Dal punto di vista penale, invece, la norma di riferimento è contenuta nell’articolo 659, secondo cui «chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici,è punito con l’arresto finoa tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro.Si applica l’ammenda da 103 euro a 516 euro a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità».
Edifici a prova di rumore
Il comfort acustico è una condizione di benessere ambita da tutti. Per quanto riguarda gli edifici di nuova costruzione, infatti, è un importante criterio di valutazione nei casi di acquisto degli immobili. Per gli alloggi costruiti dopo il 1998 e per quelli oggetto di una ristrutturazione, l’isolamento acustico deve rispondere al DPCM 5/12/97 che fissa i limiti di isolamento acustico tra le unità immobiliari, tra la casa e l’esterno e per quanto riguarda impianti e calpestio.
Per le contestazioni si va dall’amministratore
Quando un condòmino lamenta rumori in condominio provenienti dai vicini, solitamente si rivolge direttamente a questi. In molti casi, però, il vicino rumoroso reitera il suo comportamento e alla “vittima” non resta che rivolgersi all’amministratore di condominio. Come prevede l’articolo 1710 del Codice civile, questi è tenuto a eseguire il suo mandato «con la diligenza del buon padre di famiglia», inserendo la questione all’ordine del giorno dell’assemblea, favorendo un confronto fra le parti. Se il problema persiste e nel caso in cui esista un regolamento condominiale che vieti in determinate fasce orarie i rumori oltre una certa soglia, l’amministratore può comminare un’ammenda al condomino rumoroso pari a 200 euro, che può raggiungere gli 800 euro in caso di recidiva. Tale sanzione deve essere comunque deliberata dall’assemblea di condominio, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. La somma riscossa è poi devoluta al fondo disposto dall’amministratore per il pagamento delle spese ordinarie.
Risarcimento danni
Il condòmino danneggiato, inoltre, può ottenere un risarcimento dei danni subiti rivolgendosi al Giudice di Pace, che dispone una Consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) volta a quantificare l’emissione rumorosa. La perizia è eseguita da un tecnico abilitato, che misura i decibel provenienti dal vicino. Nel caso in cui la consulenza dimostri che il rumore è superiore alla soglia massima consentita, il condomino può ottenere l’indennizzo, quantificato dal giudice.
Quando non serve la prova
Se, in piena notte, un vicino rumoroso disturba la quiete pubblica, non sempre è necessario contattare un perito e misurare i decibel per provare la sua colpevolezza. Come ha osservato la Corte di Cassazione (con la sentenza 1 marzo 2018, n. 9361), per dirimere la questione il giudice può basarsi sulle dichiarazioni di eventuali testimoni, in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti. Nel caso in oggetto, a notte fonda, un condomino ha prodotto urla e rumori di vetri rotti. Tali schiamazzi sono stati percepiti da un appuntato dei Carabinieri che, proprio in quel frangente, stava passeggiando nella via in cui è ubicata l’abitazione. «L’idoneità offensiva della condotta posta in essere dall’imputato – spiegano i giudici – è peraltro evidenziata, oltre che dall’intensità delle emissioni sonore, altresì dal contesto temporale del fatto, verificatosi in pieno orario notturno, con conseguente inequivoco disturbo al riposo delle persone». Il vicino rumoroso è stato sanzionato con una multa da 100 euro e condannato al pagamento delle spese processuali. Pochi giorni dopo, con l’ordinanza 20 marzo 2018, n. 6867, la Cassazione ha affrontato un caso simile (rumori prodotti dagli inquilini del piano di sopra), precisando che, durante il processo, l’eventuale perizia depositata soltanto da una parte non costituisce una prova certa. Tuttavia, il consulente che ha eseguito la misurazione può confermare il risultato ottenuto in veste di testimone e, di conseguenza, le sue dichiarazioni «possono acquisire dignità e valore di prova» sulle quali il giudice dovrà esprimere la propria valutazione.
I cani abbaiano di notte? Non sempre è reato
Fra le novità introdotte nel 2013 dalla legge di riforma del condominio, figurano anche il quinto e ultimo comma dell’articolo 1138 del Codice civile, secondo cui «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». Una disposizione valida anche se c’è il regolamento condominiale redatto prima dell’entrata in vigore di tale legge. I padroni degli animali sono comunque responsabili di eventuali danni causati alle parti comuni dello stabile (dove i quattrozampe possono sì transitare, ma sempre tenuti al guinzaglio) e del disturbo arrecato agli altri condòmini.
Sul punto fa discutere la sentenza della Cassazione (22 novembre 2018, n. 16677) che ha ribaltato la decisione del tribunale di condannare la proprietaria di tre cani lasciati ad abbaiare in terrazza per una notte intera.
L’episodio era stato denunciato da due vicini di casa, un numero esiguo secondo la Suprema Corte, che ha giudicato la decisione del tribunale affrettata, in quanto non ha tenuto conto di elementi fondamentali come, per esempio, l’intensità dei rumori; la situazione antropica del luogo ove gli stessi sono stati emessi; la razza dei cani e la loro stazza.
«Ai fini della configurabilità della contravvenzione – spiega la Cassazione – è necessario che i lamentati rumori abbiano l’attitudine a propagarsi ed a costituire fonte di disturbo – per la loro intensità e per la ubicazione spaziale della loro fonte – per una potenziale pluralità indeterminata di persone, sebbene non sia poi necessaria la dimostrazione che poi tutte costoro siano state effettivamente disturbate».
Affitti: se l’inquilino è rumoroso, si può risolvere il contratto
Può capitare che i rumori molesti in condominio siano provocati da un inquilino, vale a dire il soggetto che occupa un immobile dietro il pagamento di un canone d’affitto. In casi simili, ci si chiede se a rispondere dei danni sia il conduttore rumoroso o il proprietario dell’appartamento. Sul punto, una recente ordinanza della Cassazione (1 marzo 2018, n. 4908) ha precisato che i condòmini danneggiati possono rivolgersi al proprietario (e chiedere eventuali danni) soltanto nel caso in cui quest’ultimo, al momento della stipula del contratto d’affitto, poteva in qualche modo prevedere che i conduttori avrebbero causato rumori. In tutti gli altri casi è l’inquilino a rispondere dei danni. Inoltre, nel caso di violazione del regolamento condominiale, il proprietario può rivolgersi al giudice e ottenere la risoluzione del contratto di locazione.
In collaborazione con avv. Silvio Rezzonico, presidente nazionale Federamministratori/Confappi, Tel. 02/33105242, http://www.fna.it