La tasi da quest’anno non è più dovuta sull’abitazione principale, a meno che non si tratti di un immobile che rientra nelle categorie catastali A1, A8 e 9, quindi sia di lusso e di pregio. Il tributo comunale sui servizi indivisibili viene così reso sempre più speculare all’imu, l’imposta municipale sugli immobili nata in sostituzione dell’ICI. La differenza principale tra Imu e Tasi è che quest’ultima però è dovuta generalmente non solo dal proprietario ma anche da chi detiene l’immobile, quindi chi vive in affitto. Fino all’anno scorso l’inquilino doveva versare una quota del tributo compresa tra il 10 e il 30% e la restante parte era a carico del proprietario. Il singolo Comune nella delibera doveva stabilire quale quota a capo dell’uno e quale a capo dell’altro.
Dal 1° gennaio 2016, per effetto della Legge di Stabilità, la Tasi non si paga più sull’abitazione principale non di lusso, e questa esenzione vale anche per gli inquilini che come tale non dovranno più versare l’acconto, in scadenza come gli altri anni, il 16 giugno. L’esenzione opera però solo se l’inquilino abbia adibito l’immobile in locazione ad abitazione principale e sempre che non si tratti di un immobile di lusso. In tal caso dovrà comunque pagare la quota di tributo in suo capo. Negli altri casi, quando cioè l’immobile affittato non rientra nelle categorie catastali A1, A8 e A9, il tributo comunale sui servizi indivisibili sarà dovuto, solo per la quota compresa tra il 30 e il 90% dal proprietario.
Quindi ricapitolando:
- immobile locato non di lusso: inquilino non paga la quota Tasi- proprietario la paga tra il 30 e il 90%
- immobile locato di lusso: inquilino e proprietario pagano entrambi per le loro rispettive quote, ossia tra il 90 e il 70 per cento a carico del proprietario e tra il 10 e il 30 per cento per il detentore.