Il cambio di destinazione d’uso di un immobile (da magazzino ad abitazione, da negozio a ufficio, da box a laboratorio, per fare alcuni esempi) è una procedura che prevede due ordini di problemi: urbanistico-normativo e morfologico. Da una parte occorre infatti controllare che sia urbanisticamente permesso il cambio di destinazione che si intende attuare; dall’altra bisogna accertarsi che vengano osservate tutte le norme igienico-sanitarie prescritte dai regolamenti locali.
A seconda dell’utilizzo che si vuole fare di uno spazio, bisogna garantire minimi livelli di salubrità che, seppur differenti a seconda della Regione e anche del Comune, in linea di massima sono riconducibili ai medesimi principi. Solo alcuni esempi: le abitazioni al piano terreno non possono essere a contatto diretto con il suolo, ma devono essere separate da quest’ultimo tramite una camera d’aria (il cosiddetto vespaio aerato); questa norma non è invece obbligatoria per un’attività produttiva. Bisogna poi che siano rispettati i rapporti aeroilluminanti, che i servizi igienici siano a norma, gli ambienti adeguatamente isolati.
Quando è possibile il cambio di destinazione d’uso di un immobile e quando no
Dal punto di vista urbanistico occorre verificare se la superficie che si intende trasformare sia o meno in una zona in cui la nuova destinazione è consentita secondo i Piani Regolatori Comunali. Per ogni lotto è prevista infatti una specifica funzione o comunque dei parametri da rispettare: i Piani Regolatori prevedono, a seconda delle zone, diverse destinazioni d’uso: residenziale, commerciale, industriale, verde pubblico eccetera. Bisogna anche ricordare che non tutti i fabbricati hanno lo stesso valore urbanistico. Ci sono locali che “fanno volume” e spazi considerati “accessori”. Questi non concorrono al valore della superficie che si può costruire su un lotto di terreno: box, cantine e locali di servizio, rientrano spesso in questa seconda categoria. Per questa ragione difficilmente sarà possibile trasformare un box in abitazione senza commettere abusi: al di là dei problemi di coibentazione, salubrità, illuminazione si presenta quasi sempre quello della trasformazione di una superficie che non “fa volume” (e quindi non era stata conteggiata al momento della costruzione) in una superficie volumetricamente rilevante.
Qual è la procedura per il cambio di destinazione d’uso
Una volta accertato che il cambio di destinazione d’uso è possibile, questo può essere di due tipi: con o senza opere. Nel primo caso, più semplice, nella maggior parte dei Comuni basta una Dia e la tempistica è immediata. l Nel secondo caso, invece, il cambio è in genere oneroso e l’onere, da riconoscere al Comune, dipende dalla tipologia dell’immobile e da quanto la nuova attività impatta sui servizi pubblici, i consumi di servizi e così via. Occorre presentare una pratica edilizia e contestualmente indicare il cambio di destinazione d’uso che segue i tempi della pratica. Una volta ultimate le opere, un tecnico abilitato redige la nuova pratica da presentare al Catasto per l’aggiornamento, indicando il cambio di destinazione d’uso e le modifiche edilizie apportate. l Poiché la materia è complessa e le procedure diversificate da località a località, è consigliabile rivolgersi a un professionista della zona.
Progetto: arch. Laura Pesaro, Milano
lpesaro@tiscali.it Foto: Cristina Fiorentini