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La principale fonte energetica di alimentazione degli impianti di riscaldamento delle case italiane è il metano, utilizzato da oltre il 70% delle famiglie. Anche la legna, però, è molto popolare. Secondo i dati Istat, più di una famiglia italiana su cinque fa uso di legna per scopi energetici, mentre solo il 4,1% utilizza il pellet. Nonostante la sua ancora scarsa diffusione, il pellet è un’alternativa davvero molto valida, più economica rispetto alle fonti fossili e più rispettosa dell’ambiente, anche rispetto alla legna stessa. Vediamo perché.
IL PELLET FA BENE AL BILANCIO DELLE FAMIGLIE
Si calcola che il pellet permetta di risparmiare oltre 220 euro all’anno, nel caso venga usato per sostituire un impianto a metano, poco meno di 800 euro all’anno in caso di sostituzione di gasolio e oltre 1.200 euro all’anno in caso di sostituzione del GPL. *
* dati Aiel calcolati per un’abitazione di 150 metri quadri con medio isolamento (12 MWh di fabbisogno termico primario, che significa un consumo di 1200 Nm3 di metano, 1200 litri di gasolio, 2550 kg di pellet).
La tecnologia del pellet, per la quale l’Italia è leader mondiale, ha fatto passi da gigante. I prodotti attualmente sul mercato (stufe, camini, caldaie) hanno rendimenti sempre più alti, che contengono al minimo i consumi di combustibile. Sono inoltre in grado ormai di soddisfare moltissime esigenze. Da piccole stufe, da usare saltuariamente nelle mezze stagioni o nelle case con basso fabbisogno termico, si passa a prodotti che rappresentano dei veri e propri mini impianti e scaldano efficacemente intere abitazioni o perfino l’acqua sanitaria.
IL PELLET FA BENE AL CLIMA
Riscaldare con un combustibile naturale come il pellet, prodotto esclusivamente con scarti di legno vergine, senza colle né vernici, è un importante contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici. Il pellet emette 10 volte meno anidride carbonica rispetto alle fonti fossili tradizionali. Se riscaldiamo una casa di 150 metri quadri con il pellet anziché con metano o gasolio, riduciamo di oltre 2.400 kg all’anno la CO2 emessa in atmosfera.
Certo, l’anidride carbonica non è l’unico fattore di inquinamento dell’aria. Ma anche nell’ambito delle tanto temute “polveri sottili”, il pellet, specie se certificato e utilizzato in impianti moderni, ne esce vincitore. Il fatto che la combustione avvenga in un ambiente più controllato, dove gli interventi umani sono minimi, e che il pellet sia standardizzato quanto a umidità e composizione, permette livelli di emissioni di polveri almeno 10 volte inferiori a quelle della legna. Secondo studi recenti, una rilevante riduzione delle emissioni di PM10 (oltre l’80%) in sarebbe ottenibile con la sostituzione di camini a legna con focolare aperto o di stufe a legna obsolete con stufe o caldaie a pellet innovative.
Per maggiori informazioni: http://www.mcz.it/it/novita2016
IL PELLET FA BENE ALL’ECONOMIA LOCALE
Al contrario delle fonti fossili, che vengono prodotte in Paesi esteri e contribuiscono a finanziare le loro economie, la produzione di pellet locale ha una ricaduta molto positiva sul territorio. Si calcola che 60 tonnellate di pellet prodotte e consumate localmente creano 200 ore di lavoro all’anno, contro le 10 ore di lavoro create dal gas metano a parità di energia prodotta.
In Italia, dove sono presenti i maggiori produttori internazionali di apparecchi a pellet, la produzione del combustibile è ancora agli inizi. Il potenziale di sviluppo è notevole, sia per la domanda in crescita, sia per la superficie forestale presente nel nostro Paese, che viene sfruttata solo in minima parte per produrre combustibile. Basti pensare che in Austria e Germania, grandi produttori di pellet e legname, si preleva dal bosco il 70-80% dell’incremento legnoso annuo, mentre in Italia non arriviamo al 25%.
Infine, un mito da sfatare: non è affatto vero che utilizzare il bosco per produrre legname contribuisca al disboscamento. È vero il contrario e gli esempi citati prima di Austria e Germania lo dimostrano. Se il bosco produce reddito, sarà tutelato e gestito perché continui a produrne. Se non produce reddito, nessun intervento diventerà economicamente sostenibile e il bosco tenderà ad essere abbandonato o trasformato in altro.
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