Nel complesso iter di revisione del decreto Rilancio, che ha ricevuto giovedì 14 luglio l’ok definitivo del Parlamento, c’è una novità che potrebbe fare la differenza per far funzionare una norma per ora poco utilizzata nel nostro Paese (anche se il dibattito della sostituzione edilizia era già di attualità con il primo Piano Casa del Governo Berlusconi del 2009).
Si tratta – appunto – della possibilità (introdotta al fotofinish e prevista inizialmente solo in caso di risanamento antisismico dell’edificio) di buttare giù un vecchio stabile per ricostruirlo non solo per migliorarne la sicurezza in caso di terremoto, ma anche per interventi agevolati di riqualificazione energetica (cappotto termico, impianti di riscaldamento e interventi di efficienza connessi).
La norma – oltre che inserita negli interventi coperti dal super bonus – è inoltre stata resa ancora più efficace dal novellato del decreto Semplificazioni (il Dl 76/2020, in vigore da venerdì scorso).
Il provvedimento, infatti, interviene sul Testo unico dell’edilizia (articolo 3, lettera d) e allarga la nozione di «demolizione e ricostruzione» ricompresa nella categoria della «ristrutturazione» (anziché nella «nuova costruzione», che in quanto tale non è agevolata dai bonus fiscali sul recupero edilizio).
Risultato: grazie al Dl Semplificazioni, l’edificio demolito può essere ricostruito con modifiche alla «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche» ed eseguendo tutte le innovazioni necessarie per l’adeguamento antisismico e per garantire l’accessibilità, oltre che per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento dei consumi. Così anche il volume dell’edificio può essere aumentato senza sconfinare nella definizione di «nuova costruzione» quando la legge o gli strumenti urbanistici comunali lo prevedono.